Dal Catalogo - Happyours

«Dopo averci portato per mano per centinaia di pagine attraverso i soprusi e le paure di due don, Rodrigo ed Abbondio, il coraggio civico del padre Cristoforo, i garbugli di un certo avvocato Azzecca, l'innocenza di Lucia, la saggezza di Perpetua, la benefica malizia di Agnese, l'efferatezza di Egidio, la corruzione di suor Gertrude, l'incontro fra le due grandezze opposte del Cardinal Federigo e dell' innominato, i giochi di potere del conte zio, le macchiette di Don Ferrante e Donna Prassede e la ruspante vigoria di Renzo, Renzo Tramaglino da Pescarenico, proprio nell'ultima delle sue innumerevoli pagine, Alessandro Manzoni , a quest'ultimo, il promesso sposo ormai maritato, fa dire: < ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardar con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che ne possa nascere: E cent'altre cose.> Ci sembrano parole alla Don Abbondio, è come se la Nona di Mahler non finisse con lo struggente adagio ma con un valzerino. Chiudere la più grande sinfonia letteraria in levare, dopo averci accompagnati nelle più grandi passioni è forse frutto di una interpretazione della modestia cristiana viziata dal carattere pessimistico di Don Lisander.
Quando Antonio Miccichè disegna su carta Fabriano e impugna la Faber Castell 2b, la Staedtler4b, la Koh I Noor Hardtmund 6b, la Bruynzeel 8b, la Konstantik 9b, la Lyra, la Derwent o altre matite nere, per raffigurare ciò che ha in mente lo fa con uno spirito diverso da quello del Tramaglino dell'ultima pagina dei Promessi Sposi. I suoi ispiratori sono Luigi Pirandello e Paul Cézanne, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e Giorgio Morandi, Joseph Conrad e René Magritte, Philip Roth ed Edward Hopper, Vincenzo Consolo, e Alex Katz , Dino Buzzati e Gerard Richter, Italo Calvino e Hans Vermeer, Cesare Pavese e Francesco Guardi, Primo Levi e Antonio Canal, Paul Auster e William Turner.
Antonio Miccichè, a differenza dell'ultimo unnusacciu Renzo, le cose le vede, le rimugina e le grida. Lo fa in bianco e nero con la potenza deflagrante della discrezione d'animo.
In questa mostra vediamo un pezzo di terra qualsiasi in una landa qualsiasi con pali della luce qualsiasi. Siamo in un assolato e desolato Belice dove la terra tremò nel '68.
Poi, eccoci a Mondello dove i palermitani a primavera vanno a godersi come gatti le prime giornate di sole.
La Marina di Cinisi, paese di Pepino Impastato è raffigurata con molte nubi inquietanti che ricordano I cento passi di Marco Tullio Giordana.
Qui siamo invece allo Stagnone di Marsala, in periferia, vicino al mare, persone lontane da orecchie indiscrete si riuniscono intorno alle loro automobili, c'è un'aria ambigua.
La guardia costiera ha recuperato una moltitudine di clandestini, salvandoli dal naufragio e li sta portando a riva, a Lampedusa.
A Sampieri, vicino a Ragusa, sei persone e due bottiglie guardano l'orizzonte. L'aria è un po' azzurra, ci ricorda Bufalino, Sciascia, Camilleri.
Sul ponte del traghetto Palermo-Genova. È il tragitto opposto a quello di Giuseppe Garibaldi.
Alle sette di mattina del 25 dicembre 1986 un cadavere in calze scure viene portato dal mare sulla spiaggia di Porto Palo. Due ispettori guardano.
Giovanni Brusca, braccio armato di Totò Riina,( oggi entrambi al 41 bis ) va a prendere al maneggio il suo figlioccio, Giuseppe Di Matteo, figlio del boss di Altofonte. Il ragazzino ancora innocente è bravissimo nel montare a cavallo . Viene strangolato e sciolto nell'acido. È una lotta fra corleonesi. Siamo ad Altofonte, il 23 novembre 1993. Di Matteo padre, pentito, aveva dichiarato che ad azionare il telecomando a Capaci, il 23 maggio 1992, fosse stato Brusca.
Avanza scassato, riciclato, mille volte riparato, un camion Mercedes nel deserto libico. Sopra, non i tre passeggeri regolamentari consigliati dallo stabilimento di Stoccarda ma più di trenta persone in un viaggio della speranza. Le ruote, piegate all'interno dall'enorme peso potrebbero scoppiare da un momento all'altro. Diceva un vecchio di Rosarno: "come posso non odiarli questi negri? Sono forti, sono giusti, vengono da lontano per lavorare e lo fanno. Vedete quello là, seduto al bar da ore, è mio figlio. Sono loro i veri cristiani. Come posso non odiarli?".
Uno chalet della val d'Aosta, ordinato, perfetto, pulito e i soliti due poliziotti. Questa volta più perplessi del solito. È il mistero di Cogne.
Spaventosa esplosione in via d'Amelio. Sembra la Beirut di dieci anni prima. Paolo Borsellino, 56 giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, va a trovare la madre e raggiunge l'amico. L'agenda rossa del magistrato non fu mai più trovata.
L'orologio della Stazione Ferroviaria si blocca sulle dieci e venticinque del mattino. Siamo a Bologna, il 2 agosto 1980. Mambro e Fioravanti ammetteranno tutto ma non questo. Ancora non sappiamo. È un quadro di Kaspar David Friedrich? No, è un Miccichè. New York. Una persona guarda le anime di metallo dei grattacieli crollati. Sono le sette di sera dell' 11 settembre 2001. A Ground Zero l'aria è ancora piena di polvere.

Giocano a calcio degli studenti di terza media, nel cortile di un Oratorio assolato nell'Abbazia dei benedettini di San Martino delle scale. Le ombre fuggono dai corpi che corrono.
Periferie di tutto il mondo unitevi. Non è questa la Roma di Accattone ma il quartiere Ita-Pasila costruito negli anni'70 alla periferia di Helsinki. La donna che torna a casa nell'aria e nella strada bianche col cestino della spesa è giovane e bella.
Lavorano all'uncinetto due bimbe non vedenti in un Istituto della capitale finlandese. Cerca una di esse , pazientemente, di capire con le dita quel punto che non vede. Che Dio le benedica.
Sembra di entrare in una fotografia di Esko Männikkö. La stanza è piccola, il letto fa da divano e da sedia. La camicia è bianca , il volto e l'orologio sono distinti. Sul tavolo, un bollitore, una radio e un litro di latte. Gli occhi e la bocca un po' tristi. Nel ripiano inferiore del tavolo sotto la tovaglia bianca, pulita e di cotone come la camicia, un piatto, una ciotola e una forma di alluminio per fare il budino. Appeso alla parete un golf di lana.
Nella zona alta di Genova sotto un pino marittimo e la sua ombra siede modestamente un pensionato al bordo di una panchina. Anche lui, come la donna finlandese, con un po' di spesa. Jack London, Marcel Proust, Robert Musil ed Elias Canetti sono altri amici di Antonio Micicchè.
La vita continua ed a Isola delle Femmine, vicino a Capaci, con baracche sullo sfondo, su spiaggia libera prendono il sole due signore che onorano il nome del posto.
Rimorchiatore nel mare bianco del canale di Sicilia. Se non ci fossero i motori sarebbe un quadro del primo ottocento.
Fuga dalle Torri Gemelle di newyorkesi bianchi e neri dopo lo schianto.
Una vecchia, quasi preistorica immagine della spiaggia di Gaza.
Questa non è soltanto una mostra di disegni. È anche un libro di poesie e potrebbe intitolarsi Ventitre liriche civili di Antonio Miccichè».

Jean Blanchaert

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