Dal Catalogo - Fatti Sud

Andrea Di Marco torna, dopo due anni, alla galleria Nuvole con una nuova produzione, realizzata al ritorno da un intenso viaggio in Africa. Alcune delle opere esposte sono state dipinte sotto l'influsso di nuovi paesaggi e nuove atmosfere ai margini del deserto, in altre ritroviamo il nostro sud più o meno metropolitano.

In un gioco di rimandi, più analogie che differenze, tra deserti e abbandoni.

Le opere saranno esposte nello spazio a piano terra della galleria: una grande tela intitolata "Building" dominerà lo spazio e si fronteggerà con una serie di 'carte' "indisciplinate" dipinte ad olio sulla parete difronte. Ne risulterà la creazione di un ambiente dove i colori e le forme ci porteranno in un mondo nel quale il tempo è dilatato, i rumori sono attutiti e la vita ha un ritmo diverso, qui come oltre il Canale di Sicilia.

Andrea Di Marco è nato nel 1970 a Palermo dove vive e lavora (e va e viene). Pittore talentuoso ha esordito a metà anni '90 e da allora ha esposto in numerose gallerie e musei in Italia e all'estero, dal PAC di Milano al Tacheles di Berlino. Nel 2001 ha aperto il suo studio alla città per il "Genio di Palermo" e nel 2003 ha portato le sue opere con "Italian Factory" al Parlamento Europeo di Strasburgo. Sue mostre personali si sono tenute presso la galleria Sergio Tossi di Firenze, alla "ES" di Torino, alla galleria AndreA Arte Contemporanea di Vicenza. Dal 2000 espone periodicamente le sue opere negli spazi di Nuvole a Palermo.

"Combattimento per un'immagine": si intitolava così una celebre mostra svoltasi a Torino nel 1973, incentrata sul rapporto tra pittura e fotografia, sui reciproci scambi, contatti e influenze tra queste due arti che, a partire dall'Ottocento, si erano contese il primato sulla resa del mondo e dell'uomo, in una gara tutta giocata tra occhio, mente e cuore.

Tranne alcuni episodi di imitazione, vicinanza e inseguimento, la storia della convivenza tra questi due media, per tutto il corso del Novecento, ha avuto momenti di indipendenza assoluta, incarnando, come afferma lo storico della fotografia Claudio Marra, "identità differenti e contrapposte", come "due binari che hanno marciato in parallelo, finendo per trovare significato proprio nella diversità e nell'opposizione delle rispettive logiche", vivendo fasi "senza combattimento", senza antagonismi di sorta.

Nei quadri dell'artista palermitano Andrea Di Marco (Palermo, 1970), pittura e fotografia tornano ad incontrarsi, ma senza confusioni o cortocircuiti. L'immagine fotografica, scattata con macchine semplici, senza l'ausilio del digitale, rappresenta il mezzo per catturare e fermare dinanzi all'occhio fotogrammi della memoria, particolari di paesaggi, di oggetti, di momenti - una vacanza, una passeggiata tra le strade di Palermo - che poi servono per dettare le coordinate spaziali del quadro. La foto come "braccio tecnologico" - così la definisce l'artista stesso, in un ideale richiamo all'uso che i grandi vedutisti del Settecento facevano di strumenti come la camera ottica - diviene, però, sulla tela e nelle carte, pittura sempre più pittura, nella saturazione calda delle tinte sensualmente intrise di luce, nella materia grassa dell'olio, unico medium pittorico che Di Marco sente realmente suo e che gli dà quasi il piacere fisico della costruzione della realtà. Prendono, così, forma quegli angoli di città, quegli arrugginiti brandelli di urbanizzazione, di meccanica, di industria in mezzo a deserti assolati, afosi, abbacinanti come tutte le atmosfere del Sud che fanno parte del DNA dell'artista. Scenari aridi, da Arizona infuocata del film di Percy Adlon Bagdad Cafè , che possono essere le bidonville del Sudan o i quartieri periferici di Palermo, in cui lo spettatore viene attratto dalla freschezza delle tinte, dai cieli tersi, dai riverberi luminosi, unica traccia di presenza umana in un palcoscenico che sembra tenderci la mano e dirci "Entra, raggiungimi e fammi compagnia. Ti condurrò lontano".

Marina Giordano

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