Dal Catalogo - Renzo Vespignani

Renzo Vespignani - Opere 1943/1990
«Così vorrei la mia pittura: l'innocenza e la crudeltà di un sol viso. È come se un dio primitivo e decrepito si sforzasse
di tornare bambino».
(R. Vespignani, Diario, 1944)

La mostra raccoglie una selezione di opere di Renzo Vespignani, grande maestro del '900, lucido interprete delle trasformazioni drammatiche vissute dal paese durante il secolo appena trascorso. La scelta è stata effettuata seguendo l'idea di far emergere un percorso che, dai disegni del periodo della guerra degli anni giovanili, si congiunge attraverso le incisioni sulle periferie urbane degli anni '50 e '60 con le opere durissime del ciclo come mosche nel miele… dedicato a Pier Paolo Pasolini e quello dedicato a New York degli anni '80. Protagonista è sempre la periferia, la sua vita pulsante e infetta, di cui Vespignani registra le durezze e le sofferenze. Vespignani cominciò a disegnarla e ad inciderla nel 1943 (era la borgata romana dove era nato e viveva, ridotta a cumulo di macerie dai bombardamenti) e ne ha seguito l'evoluzione durante tutta la vita, dando forma al dolore, alla violenza al vizio nei suoi disegni e nei suoi quadri, in opere che sempre più, con il passare degli anni, hanno impastato verità obiettiva - quasi un puntiglioso verismo -, con una meditazione critica volta a reperire dentro le apparenze il senso vero degli uomini e del loro paesaggio. Oggi i temi da lui affrontati continuano a bruciare tutti sulla nostra pelle, forse perché il dolore è "un seme inestirpabile dell'esistenza umana".
Grande artista, straordinario disegnatore e incisore, intellettuale protagonista dell'Italia del dopoguerra: con questa mostra se ne vuole sottolineare il valore proponendolo alla riflessione per ulteriori approfondimenti.
In collaborazione con l'Archivio della Scuola Romana.
 
Biografia
Nato a Roma nel 1924, Renzo Vespignani è cresciuto in una delle più povere borgate romane, il Portonaccio. Durante i tormentati mesi dell'occupazione nazista, comincia a disegnare raccontando in centinaia di piccoli fogli gli orrori della guerra, il paesaggio sporco e patetico della estrema periferia, le rovine dei bombardamenti, il dramma degli emarginati, dei reduci, degli sciuscià. La sua prima mostra è del 1945 nella Roma liberata del primo dopoguerra. Collabora con disegni e scritti alle riviste che si pubblicano precariamente, «Domenica», «Folla», «Mercurio», «La Fiera Letteraria».
Per molti anni il mezzo espressivo da lui preferito sarà il bianco e nero dell'inchiostro e dell'acquaforte: mezzo povero, cinico, duro, come le cose da ricordare di quei tempi calamitosi. Ed è già nelle sue prime prove la scoperta di una dimensione urbana, che non è soltanto paesaggio, ma livello e qualità diversa del vivere, intuizione dei guasti irreparabili che si vanno producendo nel tessuto della società italiana. Questo tema in forme più o meno esplicite, e con diverse mediazioni narrative, resterà sempre al fondo del suo operare. Sicché la sua pittura sembra accompagnare criticamente la storia della seconda metà del novecento, dalla ricostruzione, alle illusioni del consumismo, fino all'urbanizzazione selvaggia e alla conseguente morte della residua cultura contadina.
Nel 1956 fonda con alcuni amici architetti, letterati, registi, la rivista «Città Aperta», che esprime il distacco delle nuove e inquiete generazioni dalla agiografia sclerotizzante del movimento neorealista. Sono anni, questi tra il '56 e il '59, che segnano per gli intellettuali un difficilissimo, tormentoso passaggio dagli entusiasmi e dalle speranze del dopoguerra alla piatta realtà dell'Italia "arricchita": una caduta verticale dei valori e delle attese. E Vespignani li documenta con una pittura sempre più buia, che sembra sfiorare la spettralità e la morbosa inorganicità dell'informale. Nel 1963, insieme ai pittori Attardi, Calabria, Ferroni, Guerreschi, Guccione, Gianquinto, e ai critici d'arte Micacchi, Del Guercio, Morosini, fonda il gruppo "Il Pro e il Contro", che diventa subito un punto di riferimento per i nascenti esperimenti neofigurali. L'attività svolta dal gruppo attraverso numerosissime mostre tematiche, dibattiti, articoli, s'insinua nel vuoto aperto della improvvisa crisi dell'informale e delinea la possibilità di un linguaggio pienamente cosciente e responsabile, la figura del pittore come intellettuale impegnato a influire direttamente sul tessuto sociale. È a partire da questi anni che Vespignani recupera il carattere "positivo" della sua ispirazione: la fiducia dell'immagine evidente e corposa, nella possibilità di significare e colpire attraverso una rappresentazione letterale degli oggetti e degli uomini.
Dal 1969, Vespignani lavora a grandi cicli pittorici: Imbarco per Citera (1969), un affresco del ceto intellettuale coinvolto nella crisi del '68; Album di famiglia (1971), polemica concentrazione dello sguardo sul mondo quotidiano dell'autore; Tra due guerre (1973 - 75), analisi dell'ideologia autoritaria e perbenista della piccola borghesia italiana, presentato per la prima volta alla Galleria d'arte moderna di Bologna; Come mosche nel miele (1984) dedicato al mondo pasoliniano, presentato a Villa Medici a Roma; Manathan Transfert (1990), dalle memorie dei viaggi compiuti a New York negli anni '80, esposto nel 1991 al Palazzo delle Esposizioni a Roma.
È questo l'ultimo grande ciclo dell'artista nel quale esplode, mai vista prima, la forza accecante del colore.
Vespignani muore a Roma nel marzo del 2001. Pochi mesi dopo l'attentato alle torri di New York chiude definitivamente un'epoca. E non si può non ripensare alle parole di Giorgio Soavi che presentava il ciclo nel 1993 alla galleria Forni di Bologna: «Mentre mi chiedo: che America è questa? Mi rendo conto che il letto americano nel quale avrà dormito Vespignani deve essere stato un letto invaso dal fuoco di Sant'Antonio: perché i suoi quadri sono attraversati da una terrificante festa, da lampi di elettricità al neon che si rifrange su pareti di vetro che ricavano luce da altre gigantesche facciate cha fanno da specchio a tutta la luce e all'esplosione della vita che invade i suoi quadri. Una luce molto ben costruita secondo lo stile e l'epica del terrore inventato da Vespignani, che è un artista».
L'attività di illustratore risulta, a volte, particolarmente congeniale alla sensibilità fortemente letteraria di Vespignani: La question di Alleg, I racconti di Kafka, ilDecamerone, le opere complete di Majakowski, i Quattro quartetti di Eliot, i Sonetti di Gioacchino Belli, Il testamento di Francois Villon, le poesie di C. Porta, la Cantica dell'Ecclesiaste, poesie e prose di G. Leopardi sono i testi che hanno fornito gli spunti per le sue realizzazioni più notevoli.
Importante anche la sua attività di scenografo: I giorni contatie L'assassino di Elio Petri, Maratona di danza e Le Bassaridi di Hans Werner Henze, I sette peccati capitali e La madre di Brecht, Jenufa di Janacek.
È infine fondamentale, per una corretta valutazione della sua personalità, la nutritissima opera di incisore: più di quattrocento titoli in acquaforte, vernice molle e litografia.
 
Approfondimenti

Pier Paolo Pasolini
presentazione, Galleria L'Obelisco
Roma, 1956
Il pittore - Vespignani - ha fermo nelle sue linee esterne, davati a sé, i luoghi dove il proletariato lavora, soffre, ha le sue disperate allegrie, i suoi tremendi grigiori, le sue tristezze senza fondo: riprodurlo significa necessariamente giungere ad una contaminazione stilistica.
Se è vero, infatti, che i mille particolari della realtà di quel mondo popolare sono oganizzati e uificati da ua visione ideologica ben chiara, tuttavia l'unificazione e l'organizzazione, in sede tecnica, espressiva, sono dovute ad una educazione stilistica che, con quella ideologica, è tuttora in rapporto diacronico e contraddittorio.
Non è questo il dramma solo del Vespignani. Entro queste circostanze ostili, che tendono ad erodere il campo di libertà dell'artista, fino a ridurlo al minimo, è chiaro che la ricerca va condotta nel senso, che si diceva, della ricerca profonda, dello scavo, della passione violenta che diviene precisione raffinata: è questo che fa Vespignani. E il visitatore può constatare qui in questa mostra quante volte egli compia il miracolo del quadro perfetto.


Giovanni Testori
presentazione, Palazzo dei Diamanti
Ferrara, 1969

La sacralità (ma fisica, ma cellulare, ma fetale) di questi disegni è anzi impastata dentro i pagliericci e i sudari della vita di questi anni che, in certi momenti sfiora il calco; il calco intendo insostenibile e repellente delle macchie di sangue; delle espulsioni emorragiche; dei cumuli di detriti; delle mutande, delle pezze e dei reggiseni; dei calzoni laceri e sporchi; delle camicie incrostate; degli slip sordidi e insanguinati; fin dalle orine; fin degli escrementi. Ma è proprio in quei punti, quando una sorta di repulsione sembra prenderci alla gola, che vediamo pullulare qualche strana e inattesa salvezza; e apparire qualche strano e inatteso lampo o brivido di luce (e di speranza)…
Mi domando se, in questo ciclo di disegni (e di reliquie), il petalo invocato, anzi, diciamo pur la parola, l'invocata speranza, non stia proprio in questi baci e in questi abbracci: baci ed abbracci di che si stampa tutto l'intrigo e tutta la vermicolante, sanguinante e come notturna peluria della "tassia" vespignanea. Mi domando se non siano proprio questi baci, urlati o timidi e silenziosi, a dare ai gomitoli, agli intrighi e nidi, in cui l'umanità abbia cercato di salvar il salvabile; e cioè le cellule stesse della sua carne e quelle della sua anima; in una parola, la sua capacità e ragione d'esistere. Microscopiche arche di Noè, non più grandi di una bocca o dell'incavo d'un ombelico; delle grinze d'un seno o della piega d'un sesso; ma composte pazientemente e indefessamente da fili, peli, capelli, pelurie, ferite, suppurazioni, pustole, croste.


Giovanni Arpino
presentazione, Galleria Centro d'Arte
Prato, 1973

A questo punto bisogna tacere: perché è stato ed è sempre troppo facile coinvolgere Vespignani e la sontuosa galleria delle sue figure in un discorso viziato di smanie letterarie (se queste, consumate onestamente, implacabilmente, possono chiamarsi smanie). Vespignani va guardato con attimi di gioia, pena, rimorso, rallentando il passo, sospendendo il giudizio. Con la coscienza che il suo "fare" è anche una radiografia di questo "fare". Ogni tela o tempera sono, incontrandoli, storia, cronistoria, segreto d'un groviglio pittorico. Come se, camminando , d'una persona lontana tu non vedi solo il gesto e l'abito e i contorni, ma i visceri, i sogni, le incenerite furie, la gioventù che fu, il liquame che sarà. Pieno d'occhi, il lavoro di Vespignani è padre di se stesso, pur non respingendo parentele, ma lontane e sotterranee. Vince con la morbidità, ma si deposita come il ferro. Dei fiori e dei trionfi che lascia affiorare non nasconde il peccato, umano e teatrale.
L'eleganza è un destino che solo l'arte sa rendere necessario, togliendole ogni vizio.


Enzo Siciliano
presentazione, Palazzo delle Esposizioni
Roma, 1991

Vespignani sbarca al Kennedy da un jumbo e in valigia non ha altro che la propria umiltà di artigiano, una grafite dalla punta che incide il foglio bianco come un bisturi e con la quale ci affolla sopra, strato su strato, quel che la metropoli gli deposita nella retina. Ma quella retina è sapiente certo, ha letto tutti i libri, per dirla con Mallarmé, e visto tutta la pittura possibile… Questa esperienza di New York, proprio un percorso di periferie -e poteva essere diverso in Vespignani?- questo percorso che porta il pittore a scoprire la vitalità metropolitana dentro il degrado dei rifiuti o nella felicità delle insegne pubblicitarie - questo percorso che non può non chiamarsi Manhattan Transfer è anche un percorso votivo, un atto rituale dell'immaginazione, ua presa di possesso che si trasforma nella testimonianza di una invasione d'anima…
Passa un vagone della subway sul foglio di carta, e la polvere della grafite va quasi a stampare la forma inconfondibile del movimento, e con se trascina un rombo sonoro di echi, il fiato inconfondibile del ventre metropolitano.

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