Dal Catalogo - Night Games

«"Ma noi ti vogliamo pittrice!". Così le ha detto l' artista Paolo Picozza* quando ha saputo che avrebbe fatto una mostra di monotipi. Tuttavia, dopo averli visti, si era rassicurato e aveva aggiunto: "in effetti di pittura si tratta anche qui".
È proprio da questa intuizione, dalle parole di chi l'arte la conosceva perché rappresentava tutta la sua vita, che vorrei partire per parlare della serie di carte di Pilar Saltini esposte sotto un titolo, Night Games, che introduce già dentro una specie di enigma da sciogliere.

Quando Raffaella De Pasquale mi ha detto che Pilar aveva dedicato questi lavori a Palermo e ai bambini incontrati nelle sue strade, mentre aspettavo di vederli, avevo fantasticato che si trattasse davvero di immagini di giochi. Ma è bastato guardare il primo, per capire che i significati di game, tra queste oscurità, erano ben diversi.

'Partita', ma anche 'caccia', oppure 'tranello', era il modo in cui si dovevano tradurre i suoi segni neri. E così immediatamente mi sono liberata dall'idea dello stereotipo di cui spesso cado vittima. Sono convinta, infatti, che chiunque arrivi da un non meglio identificato Nord e guardi Palermo cercando immagini e suggestioni visive, non riesca a capirne realmente l'anima plurale. Perché questa è una città che ti abbaglia con la sua bellezza quasi inconsapevole, la luce, i sapori, gli odori delle spezie, i mercati, i colori accesi, le chiese barocche, i mosaici luminosi. Immagino che tutto questo basti al visitatore per pensare di essere nell'anticamera dell'Eden.

Tuttavia, appunto, i siciliani come Gesualdo Bufalino o, per citare una donna della stessa generazione di Pilar, Emma Dante, ben conoscono l'alternanza di "luce e lutto" che abita da queste parti.
Guarda, mi sono detta, lo ha capito pure lei, Pilar, che dipinge anche quando disegna sul metallo, che arriva da Parigi ed è nata a Milano. È riuscita a entrare in luoghi immaginari che io ritenevo segreti e impraticabili per chi non è avvezzo a questa terra.

La Saltini, in questi grandi fogli neri, improvvisamente accesi da bianchi accecanti che feriscono gli occhi, ci ha trasportato in una città dov' è scomparsa la luce, senza un centro, in uno spazio incerto, fluttuante nel buio, in cui è bene guardarsi le spalle. Sono immagini forti quelle che abbiamo davanti, che non fanno sconti all'espressione delle zone più inquiete dell'essere al mondo.

Pilar ha affidato ai suoi 'negativi' una rievocazione che ha assunto l'aspetto di "un incubo riuscito", come canta Francesco De Gregori. E questa sua passeggiata notturna non può non far venire in mente i contrasti di bianchi e neri pieni di angoscia del Goya dei Capricci, che sapeva come "il sonno della ragione genera mostri".

Ma io ho pensato a questi bambini di Pilar, con le loro pose senza equilibrio né stabilità, accovacciati, distesi, come se si nascondessero, di fronte alla folgorante sequenza iniziale del bellissima pellicola L'amore buio di Antonio Capuano. Nello stesso modo, attraverso la velocità, in un caso del segno, nell'altro del fermo immagine, la pittrice e il regista ci comunicano l'allarme per il destino delle loro giovani figure. Poi, nel film, l'attenzione si concentra su due vicende personali, nelle carte di Pilar che, comunque, vanno lette in sequenza, invece, non c'è una narrazione, ma un'emozione isolata: ogni storia è l'incontro di un attimo, a cui segue una fuga. Lei ce lo restituisce e continua il suo cammino tra le tenebre.

Domenico Starnone, un altro napoletano come Capuano, parlando dell'aria che si respirava nel cinema in cui andava da bambino, la definisce buialuminosa. Ecco, queste opere secondo me sono proprio così, buieluminose, dove la luce però non permette di stipulare una specie di armistizio con le ombre, le accende all'improvviso, come la fiammella di un cerino o i fari di una macchina, ma lascia il resto al nero. È l'antica, eppure tra le mani di Pilar così contemporanea, vittoria del chiaroscuro sulla luce tersa, a farci sentire tutta la dissonanza del caos. In questo vedere allucinato, il buio lo trovi anche tra gli sguardi delle figure di un mondo sotterraneo che si muovono, armate, insicure, deformate nelle loro espressioni di umanità dolente, in una città sotto assedio, con le automobili che sembrano carri armati, in un cielo che sa di fumo, o forse nel ventre della terra. E non sai bene se provare pietà o avere paura di bambini che camminano sull'orlo dell' abisso, a cui nessuno soffierà il naso con gesto amorevole, pronti a combattere, a saccheggiare, ma anche a compiere piccoli gesti di tenerezza, per garantirsi una sopravvivenza da adulti. Certo è che, con la stessa trepidazione, aspetti che faccia giorno».

Lea Matteralla

* Questo scritto è dedicato a Paolo, che amava il lavoro di Pilar.

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