Dal Catalogo - Installazioni

Tre installazioni
La mostra si articola in tre momenti successivi nei quali il nuovo spazio di via Gioeni 29 sarà radicalmente trasformato, di volta in volta, dagli interventi dell'artista. La De Grolée ci propone, con queste tre nuove installazioni, un viaggio attraverso la città di Palermo, che è anche, e soprattutto, un viaggio mentale, un viaggio dell'anima e dei sentimenti, un viaggio che ci porta dalla drammatica deturpazione dei luoghi (testimoniata dalla prima installazione costituita da tre grandi puzzle fotografici tridimensionali) all'effetto di perdita di senso e sofferenza (quasi la visione di un incubo, la seconda installazione è una sorta di città fantasma gelida che sorge su un desero di terra spaccata) fino al sogno di una terra madre, di un rapporto armonico con la natura che può ancora avverarsi, fino a che sapremo avere uno sguardo e un cuore capace di scoprirne e desiderarne l'esistenza (è il villaggio di capanne che ci accoglie teneramente nel suo seno).

La mostra è il secondo appuntamento del ciclo LO SGUARDO DEGLI ALTRI: artisti stranieri guardano la Sicilia, realizzato in collaborazione con il Centro Culturale Francese di Palermo, l'Istituto Italiano di Cultura di Marsiglia e l'Assessorato Regionale ai Beni Culturali e Ambientali e della P.I.nb. Negli spazi al primo piano della galleria prosegue la mostra fotografica di Franca Trovato sulle Catacombe dei Cappuccini.
 
Anne-Clémence de Grolée       
Biografia
Nata a Parigi nel 1963, Anne-Clémence de Grolée si laurea presso l'Ecole des Beaux-Arts di Nantes nel 1989. Ottiene poi varie borse (Ministère de la Culture, A.F.A.A.) che le permettono di eseguire soggiorni di ricerca a Parigi, Bruxelles e soprattutto in Italia, a Bologna (1994/1996) e in Sicilia, come "artiste en résidence" presso l'associazione Fiumara d'Arte (1996). Dal 1997, vive e lavora a Palermo dove svolge anche laboratori di creazione sperimentali per bambini. Ha realizzato numerose mostre in Italia e Alcune opere sue sono presenti in collezioni pubbliche francesi (Artothèques di Angers et di Nantes, F.R.A.C. dei Pays de la Loire).

Née à Paris en 1963, Anne-Clémence de Grolée passe son diplôme à l'École des Beaux-Arts de Nantes en 1989. Elle obtient ensuite diverses bourses (Ministère de la Culture, A.F.A.A.) qui lui permettent d'e ffectuer des séjours de recherche à Paris, Bruxelles et surtout en Italie, à Bologne (1994/1996) et en Sidlle, comme "artiste en résidence" auprès de l'association Fiumara d'Arte (1996). Depuis 1997 elle vit et travaille à Palerme où elle anime aussi des ateliers de création expérimentaux pour enfants.



Aprofondimenti
Lo sguardo degli altri
Le regard des autres

Spesso siamo ciechi di fronte al patrimonio che ci circonda, che sia monumentale, o artistico, o paesaggistico poco importa; abbiamo bisogno di andare altrove per scoprire, per porci nello stato d'animo disponibile alla scoperta. Lo sguardo straniero può vedere più in profondità, può innamorarsi, può trovare corde segrete, e ancora di più lo sguardo di un artista può cogliere l'essenza, la verità della realtà che ci circonda. Il progetto ha lo scopo di far conoscere artisti stranieri a Palermo e di svelare il nostro patrimonio a noi stessi, di riflettere sulla nostra città.

Nous sommes souvent aveugles face au patrimoine qui nous entoure, qu'il soit monumental, artistique ou paysager, peu importe; nous avons besoin d'aller ailleurs pour découvrir, pour nous mettre dans l'état d'àme disponible à la découverte. Le regard étranger peut voir plus en pro fondeur, peut tomber amoureux, peut frouver des cordes secretes; le regard d'un artiste, à plus forte raison, peut saisir l'essence, la vérité de la réalité qui nous entoure. Le projet a donc non seulement le but de faire connaitre des artistes étrangers à Palerme mais aussi celui de dévoller notre patrimoine è nous-mémes, de réfléchir sur notre ville.



Cinzia Ferrrara
C'è un filo sottile che lega Io sguardo di Anne-Clémence de Grolée ed il territorio siciliano, un territorio da lei raggiunto, percorso, osservato, ed infine rappresentato con animo impietoso e compassionevole al contempo: un urlo sussurrato che pervade le sue opere, in cui all'immagine drammatica della deturpazione dei luoghi, violati da un'ossessiva bramosia di costruzione, innalzando opere dedicate a nuove e malefiche divinità, si contrappone un linguaggio impalpabile come borotalco, gioioso come un gioco di bimba, leggero come un passo di danza, che traccia, muovendosi sulle punte, sottili traiettorie nello spazio della raffigurazione, in un continuo gioco di connessioni tra elementi anche distanti tra loro, creando un ritmo sincopato che provoca sospensione, rallentamento del pensiero, attesa.
Così accade che il nostro smarrimento ci spaventi, l'avere lasciato quell'unico filo che ci faceva muovere nello spazio con sicurezza. E abbiamo paura di perderci nel grande puzzle in cui gli elementi sembrano tutti al loro posto, vicini per assonanza formale o cromatica, ma quando i! nostro sguardo si sposta dal singolo elemento all'intera composizione dei frammenti, ci sentiamo disorientati: il ritratto così composto è surreale ed emerge con forza l'immagine di un paesaggio che non riconosciamo più, in cui le dissonanze tra luogo e costruito sono esasperate da un montaggio manipolato, voluta sottolineatura di un dialogo interrotto tra uomo e divinità, violazione di un patto che ha garantito nei tempi un rapporto di armonia tra l'uomo e la sua terra, nel rispetto della sacralità dei luoghi.
Nel puzzle i fili sottili si ispessiscono, diventando elementi solidi che componendosi nello spazio danno vita a inquietanti scheletri di cemento, segno ambiguo di un'architettura mai nata o di un'architettura già morta, che offre allo sguardo il suo corpo, impietosamente scarnificato dall'erosione del tempo. Atti da usurpatore che contribuiscono ad innalzare nuovi templi al dio del caos, quello stesso dio che ha voluto fondare una città impossibile in cui non si può abitare. Una città in cui i volumi delle case scompaiono per lasciare il passo a bidimensionali superfici lucide, silenziose scenografie abbandonate, che componendosi tra di loro tracciano percorsi labirintici, fili intrecciati in modo complesso da cui è forse possibile uscire, superando la paura per lo smarrimento, perduti in uno spazio che si sviluppa nella totale assenza di un unico centro generatore. Superato l'ultimo schermo che rappresenta il limite della città, come in un incubo, ci aspetta un altro labirinto, anch'esso privo di qualsiasi riferimento spaziale, un deserto sconfinato in cui fili sottili disegnano arabeschi sulla superficie della terra spaccata dall'assenza di acqua, resa sterile e privata di ogni forma di vita, come mossa da sussulti, drammatici e sotterranei movimenti improvvisi, terra opaca che non sa più dialogare col cielo, che si riflette muto sulle superfici lucide e specchianti della città fantasma.
Continuiamo a camminare tenendo sempre stretto tra le mani quel filo che ci conduce altrove, forse in uno spazio che appartiene solo alla dimensione del sogno, in un piccolo villaggio di capanne, rassicuranti come forme in cui riconosciamo quelle parti della nostra città che disegnano con il loro profilo la sottile linea di confine tra la terra ed il cielo. Capanne dal colore roseo come pelle di donna, che sembrano nascere direttamente dal grande corpo disteso del territorio, in cui senza soluzioni di continuità si susseguono le superfici modellate nello spazio, rotondità e profonde depressioni.
È la terra stessa che spalancando le sue braccia ci accoglie, stretti contro il suo seno, e socchiudendo gli occhi liberiamo quel sospiro a lungo trattenuto fino al momento in cui possiamo ricongiungerci a lei. Ed ecco che quel filo che ci ha aiutati, come nuovi Tesei, ad uscire dai complessi labirinti, è divenuto il cordone ombelicale che ci unisce alla terra. Indissolubilmente.

Cinzia Ferrara è architetto, specializzata in Disegno Industriale e collaboratrice del Dipartimento di Design della Facoltà di Architettura di Palermo.

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